Discussione:
Il suo canto libero è la più attuale carta d'identità del nostro Paese
(troppo vecchio per rispondere)
tattoo
2018-09-08 08:59:58 UTC
Permalink
Il 9 settembre di 20 anni fa giorno della sua scomparsa l'italia intera
, incredula si fermò e quando un paese si ferma per un personaggio
pubblico quale era vuol dire che era decisamente immenso. La sua
immensità è data dalla qualità delle sue canzoni e dalla quantità, ogni
sua canzone era un hit, di lui non si "gettava" via niente. in ogni suo
ellepiù (sempre diversi come stile musicale ) non trovavi mai la
canzone insignificante, quella meno importante. tutti gioielli. Rimarrà
per sempre un patrimonio per il paese.

http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/anni-senza-battisti-1573146.html

Le parole di Mogol hanno alzato il livello letterario della canzone
d'autore. E la musica di Lucio ha aperto le nostre frontiere

Inseguendo una libellula in un prato sono già trascorsi venti anni.
Quando, intorno a mezzogiorno del 9 settembre 1998 dall'ospedale San
Paolo di Milano, è arrivata la notizia spaventosa e inattesa che Lucio
Battisti non c'era più, per la prima volta l'Italia ha provato il dolore
sordo che rende orfani di musica e parole entrati nell'anima di un popolo.

Lucio Battisti è stato il nostro canto libero, quello che ha elevato per
la prima volta massicciamente il livello letterario della nostra musica
e lo ha fatto con una ricerca musicale al momento inedita nella canzone
d'autore. Le parole e la melodia portavano il brano subito in cima alla
hit parade per settimane e, anche grazie a Lucio Battisti, Mogol è
diventato il recordman mondiale di primi posti in classifica (circa 110
finora in tutta la sua carriera). Quando presentarono alla casa
discografica il loro purtroppo ultimo disco insieme, la risposta fu:
cambiate titolo perché la parola uggiosa non la conosce nessuno. Il
titolo non fu cambiato, da allora tutti iniziarono a definire uggiose le
giornate e Una giornata uggiosa è pieno di pezzi indimenticabili. La
forza della canzone nel cambiare la cultura popolare. Era il 1980.

Battisti era già sostanzialmente sparito dalle scene pubbliche.
Pochissimi concerti, almeno al confronto dei suoi colleghi. Rare
apparizioni televisive, quasi sempre ininfluenti a parte lo strepitoso
incontro con Mina nei nove minuti di duetto a Teatro 10 del 23 aprile
1972. Cercatelo su YouTube, quel filmato benedetto, e sono garantiti i
brividi. A convincere Battisti a star lontano dai riflettori furono
anche le penose polemiche politiche sul suo presunto schieramento
all'estrema destra. Ogni testo veniva filtrato con la lente strabica
dell'ideologia. I «boschi di braccia tese» della Collina dei ciliegi, ad
esempio, era una chiara apologia di fascismo. La favolosa e visionaria
Le luci dell'est era naturalmente considerata come in chiave anti
sovietica (leggasi: anti comunista) e, ci mancherebbe, anche il «mare
nero» della Canzone del sole, per decenni il brano più cantato sulle
spiagge di tutta Italia, era un evidente riferimento alla camicie dei
balilla. Una follia. E allora poco importava (ma a qualcuno anche
adesso) che un volantino delle Brigate rosse nei primi anni '80 citasse
le «discese ardite e le risalite» (da Io vorrei... non vorrei... ma se
vuoi) e nel covo delle Br in via Monte Nevoso a Milano (dove trovarono
parte del memoriale Moro) ci fosse l'intera discografia di Battisti con
Mogol. Tanto per capirci, l'unica volta che Battisti parlò pubblicamente
di temi legati alla cronaca politica fu quando appoggiò la campagna di
Pannella sull'aborto. Ma, si sa, la cecità del pregiudizio è incurabile.

In fondo Battisti era, ed è, di uno e centomila, è patrimonio di tutti,
nessuno escluso, perché anche negli anni Settanta a casa lo ascoltavano
di nascosto pure i Peppone che si dichiaravano anti battistiani per
sottolineare una farisaica diversità dai Don Camillo con cui facevano
polemica in piazza. Dopotutto anche Paul McCartney aveva l'intera
discografia a casa sua, come racconta talvolta Mogol, e non per nulla la
casa discografica dell'ex Beatle provò a lanciarlo negli Stati Uniti.
Ora, a vent'anni dalla morte del più enigmatico dei nostri grandi
artisti popolari, è sempre più evidente che Battisti e Mogol fossero in
realtà l'antipolitica: i loro brani erano la riapertura della canzone
popolare alla sfera intima di ciascuno di noi, quella senza ideologie,
all'amore lacerato o lacerante o anche equivoco, all'amicizia sgombra da
qualsiasi connotato sessuale, persino alla goliardia liberatoria (Dieci
ragazze) o alla spavalderia guascona e innocente di Il tempo di morire.
Raramente Mogol ha sconfinato nella visione politica o economica
(memorabile quel «al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti» dalla
favolosa I giardini di marzo).

Per il resto il loro repertorio era un viaggio in fondo all'anima, un
viaggio così profondo da arrivare al cuore di una, due, tre generazioni
e ancora oggi sarebbe in grado di farlo se quel repertorio diventasse
«liquido», ossia ascoltabile, al pari di tutte le altre canzoni del
mondo, con quel codice ormai universale che è lo «streaming» (ma ci sono
possibili novità all'orizzonte, ed è forse vicina la «liberazione»
digitale).

Poi c'era la sua voce.

All'apparenza era sgraziata e non certo perfettamente intonata. Ma si è
dimostrata clamorosamente capace di raccontare, di scendere nelle parole
e viverle con l'accentuazione dei toni o il loro approfondimento, quasi
che diventasse uno strumento anche emotivo del testo. Se si parla di
forza di un cantante, si deve per forza pensare anche a Battisti, non a
certi interpreti perfetti ma emotivamente frigidi. Cantando Emozioni, la
sua voce è musica, nei lievi vibrati c'è il sogno e la follia di guidare
a fari spenti nella notte perché bisogna fermare qualcosa che «è dentro
me ma nella mente tua non c'è». Anche la metrica era personalissima
perché tu chiamale, se vuoi, emozioni e spesso la cadenza delle battute
può essere dilatata o ristretta a piacere per rendere l'idea delle parole.

E infine c'è la musica, il vero patrimonio di Battisti, il suo miraggio,
la sua dannazione.

Chi suonava con lui sa bene quanto fosse attento. E chi allora non
suonava con lui, ascoltava i nuovi brani come se fossero corsi di
aggiornamento in una fase cantautorale ancora drammaticamente e
provincialmente legata alla centralità dei testi. E il quadruplo cd
Masters (pubblicato da Sony l'anno scorso con le versioni rimasterizzate
del repertorio), conferma quando si potrà ascoltare nei 20 vinili in
uscita il 14 settembre, sempre su Sony, con gli album originali in
formato Vinyl Replica. I dettagli, ecco cosa faceva la differenza
insieme agli arrangiamenti. Il giro di basso lievemente disarmonico, il
tocco di batteria sfuggito all'ultimo, il colpo di tacco sul pavimento
mentre si arpeggia la chitarra: il segno di una registrazione quasi dal
vivo dopo prove infinite. Con Battisti in sala d'incisione non era
«buona la prima» ma era «buona la migliore» anche se c'era qualche
imprecisione. La passione. L'empatia. Ed è per questo che il repertorio
è di una attualità decisamente superiore agli altri di quell'epoca. Nel
Nostro caro Angelo già dall'iniziale giro di basso sganciato
dall'acustica c'è una forza rock tuttora seguita, il fraseggio e
l'assolo finale di chitarra di Con il nastro rosa (di Phil Palmer che
dal 1980 ha iniziato a collaborare con Dylan, Clapton, Elton John e
decine di altri fuoriclasse) sono tra i migliori dell'epoca e Anima
latina non è solo un ponte con la «fase Panella», ma è anche l'apertura
della musica d'autore italiana alle influenze sudamericane e alla
modifica della forma canzone: non aveva praticamente ritornelli ma
rimase al primo posto in classifica per tredici settimane, a conferma
che il pubblico premia sempre le grandi idee. Era il 1974 e lui era il
numero uno. E quando si è numeri uno per tanto tempo, a un certo punto
non sai più cosa inventarti, disse più o meno nell'ultima intervista
conosciuta, alla Radio Svizzera. Si inventò la collaborazione con
Panella (fatta di qualche capolavoro poco conosciuto come il surreale
Don Giovanni). E infine sparì nel buio del suo destino, lasciando una
luce così accesa che ancora oggi, accidenti!, basta un verso di quei
brani per illuminarci l'anima come se il sole fosse qui.
Manlio
2018-11-01 17:18:18 UTC
Permalink
Ciao Tattoo ma ci sei su FB?
tattoo
2018-11-04 12:59:44 UTC
Permalink
Post by Manlio
Ciao Tattoo ma ci sei su FB?
No , non frequento i social

Vedo che non posta più nessuno...anche se gli argomenti sono sempre gli
stessi fa niente...
calypsos
2018-11-21 22:21:46 UTC
Permalink
Post by tattoo
Il 9 settembre di 20 anni fa giorno della sua scomparsa l'italia intera
, incredula si fermò e quando un paese si ferma per un personaggio
pubblico quale era vuol dire che era decisamente immenso. La sua
immensità è data dalla qualità delle sue canzoni e dalla quantità, ogni
sua canzone era un hit, di lui non si "gettava" via niente. in ogni suo
ellepiù (sempre diversi come stile musicale ) non trovavi mai la
canzone insignificante, quella meno importante. tutti gioielli. Rimarrà
per sempre un patrimonio per il paese.
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/anni-senza-battisti-1573146.html
Le parole di Mogol hanno alzato il livello letterario della canzone
d'autore. E la musica di Lucio ha aperto le nostre frontiere
Inseguendo una libellula in un prato sono già trascorsi venti anni.
Quando, intorno a mezzogiorno del 9 settembre 1998 dall'ospedale San
Paolo di Milano, è arrivata la notizia spaventosa e inattesa che Lucio
Battisti non c'era più, per la prima volta l'Italia ha provato il dolore
sordo che rende orfani di musica e parole entrati nell'anima di un popolo.
Lucio Battisti è stato il nostro canto libero, quello che ha elevato per
la prima volta massicciamente il livello letterario della nostra musica
e lo ha fatto con una ricerca musicale al momento inedita nella canzone
d'autore. Le parole e la melodia portavano il brano subito in cima alla
hit parade per settimane e, anche grazie a Lucio Battisti, Mogol è
diventato il recordman mondiale di primi posti in classifica (circa 110
finora in tutta la sua carriera). Quando presentarono alla casa
cambiate titolo perché la parola uggiosa non la conosce nessuno. Il
titolo non fu cambiato, da allora tutti iniziarono a definire uggiose le
giornate e Una giornata uggiosa è pieno di pezzi indimenticabili. La
forza della canzone nel cambiare la cultura popolare. Era il 1980.
Battisti era già sostanzialmente sparito dalle scene pubbliche.
Pochissimi concerti, almeno al confronto dei suoi colleghi. Rare
apparizioni televisive, quasi sempre ininfluenti a parte lo strepitoso
incontro con Mina nei nove minuti di duetto a Teatro 10 del 23 aprile
1972. Cercatelo su YouTube, quel filmato benedetto, e sono garantiti i
brividi. A convincere Battisti a star lontano dai riflettori furono
anche le penose polemiche politiche sul suo presunto schieramento
all'estrema destra. Ogni testo veniva filtrato con la lente strabica
dell'ideologia. I «boschi di braccia tese» della Collina dei ciliegi, ad
esempio, era una chiara apologia di fascismo. La favolosa e visionaria
Le luci dell'est era naturalmente considerata come in chiave anti
sovietica (leggasi: anti comunista) e, ci mancherebbe, anche il «mare
nero» della Canzone del sole, per decenni il brano più cantato sulle
spiagge di tutta Italia, era un evidente riferimento alla camicie dei
balilla. Una follia. E allora poco importava (ma a qualcuno anche
adesso) che un volantino delle Brigate rosse nei primi anni '80 citasse
le «discese ardite e le risalite» (da Io vorrei... non vorrei... ma se
vuoi) e nel covo delle Br in via Monte Nevoso a Milano (dove trovarono
parte del memoriale Moro) ci fosse l'intera discografia di Battisti con
Mogol. Tanto per capirci, l'unica volta che Battisti parlò pubblicamente
di temi legati alla cronaca politica fu quando appoggiò la campagna di
Pannella sull'aborto. Ma, si sa, la cecità del pregiudizio è incurabile.
In fondo Battisti era, ed è, di uno e centomila, è patrimonio di tutti,
nessuno escluso, perché anche negli anni Settanta a casa lo ascoltavano
di nascosto pure i Peppone che si dichiaravano anti battistiani per
sottolineare una farisaica diversità dai Don Camillo con cui facevano
polemica in piazza. Dopotutto anche Paul McCartney aveva l'intera
discografia a casa sua, come racconta talvolta Mogol, e non per nulla la
casa discografica dell'ex Beatle provò a lanciarlo negli Stati Uniti.
Ora, a vent'anni dalla morte del più enigmatico dei nostri grandi
artisti popolari, è sempre più evidente che Battisti e Mogol fossero in
realtà l'antipolitica: i loro brani erano la riapertura della canzone
popolare alla sfera intima di ciascuno di noi, quella senza ideologie,
all'amore lacerato o lacerante o anche equivoco, all'amicizia sgombra da
qualsiasi connotato sessuale, persino alla goliardia liberatoria (Dieci
ragazze) o alla spavalderia guascona e innocente di Il tempo di morire.
Raramente Mogol ha sconfinato nella visione politica o economica
(memorabile quel «al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti» dalla
favolosa I giardini di marzo).
Per il resto il loro repertorio era un viaggio in fondo all'anima, un
viaggio così profondo da arrivare al cuore di una, due, tre generazioni
e ancora oggi sarebbe in grado di farlo se quel repertorio diventasse
«liquido», ossia ascoltabile, al pari di tutte le altre canzoni del
mondo, con quel codice ormai universale che è lo «streaming» (ma ci sono
possibili novità all'orizzonte, ed è forse vicina la «liberazione»
digitale).
Poi c'era la sua voce.
All'apparenza era sgraziata e non certo perfettamente intonata. Ma si è
dimostrata clamorosamente capace di raccontare, di scendere nelle parole
e viverle con l'accentuazione dei toni o il loro approfondimento, quasi
che diventasse uno strumento anche emotivo del testo. Se si parla di
forza di un cantante, si deve per forza pensare anche a Battisti, non a
certi interpreti perfetti ma emotivamente frigidi. Cantando Emozioni, la
sua voce è musica, nei lievi vibrati c'è il sogno e la follia di guidare
a fari spenti nella notte perché bisogna fermare qualcosa che «è dentro
me ma nella mente tua non c'è». Anche la metrica era personalissima
perché tu chiamale, se vuoi, emozioni e spesso la cadenza delle battute
può essere dilatata o ristretta a piacere per rendere l'idea delle parole.
E infine c'è la musica, il vero patrimonio di Battisti, il suo miraggio,
la sua dannazione.
Chi suonava con lui sa bene quanto fosse attento. E chi allora non
suonava con lui, ascoltava i nuovi brani come se fossero corsi di
aggiornamento in una fase cantautorale ancora drammaticamente e
provincialmente legata alla centralità dei testi. E il quadruplo cd
Masters (pubblicato da Sony l'anno scorso con le versioni rimasterizzate
del repertorio), conferma quando si potrà ascoltare nei 20 vinili in
uscita il 14 settembre, sempre su Sony, con gli album originali in
formato Vinyl Replica. I dettagli, ecco cosa faceva la differenza
insieme agli arrangiamenti. Il giro di basso lievemente disarmonico, il
tocco di batteria sfuggito all'ultimo, il colpo di tacco sul pavimento
mentre si arpeggia la chitarra: il segno di una registrazione quasi dal
vivo dopo prove infinite. Con Battisti in sala d'incisione non era
«buona la prima» ma era «buona la migliore» anche se c'era qualche
imprecisione. La passione. L'empatia. Ed è per questo che il repertorio
è di una attualità decisamente superiore agli altri di quell'epoca. Nel
Nostro caro Angelo già dall'iniziale giro di basso sganciato
dall'acustica c'è una forza rock tuttora seguita, il fraseggio e
l'assolo finale di chitarra di Con il nastro rosa (di Phil Palmer che
dal 1980 ha iniziato a collaborare con Dylan, Clapton, Elton John e
decine di altri fuoriclasse) sono tra i migliori dell'epoca e Anima
latina non è solo un ponte con la «fase Panella», ma è anche l'apertura
della musica d'autore italiana alle influenze sudamericane e alla
modifica della forma canzone: non aveva praticamente ritornelli ma
rimase al primo posto in classifica per tredici settimane, a conferma
che il pubblico premia sempre le grandi idee. Era il 1974 e lui era il
numero uno. E quando si è numeri uno per tanto tempo, a un certo punto
non sai più cosa inventarti, disse più o meno nell'ultima intervista
conosciuta, alla Radio Svizzera. Si inventò la collaborazione con
Panella (fatta di qualche capolavoro poco conosciuto come il surreale
Don Giovanni). E infine sparì nel buio del suo destino, lasciando una
luce così accesa che ancora oggi, accidenti!, basta un verso di quei
brani per illuminarci l'anima come se il sole fosse qui.
Che bel ricordo, che bella sintesi della staordinaria storia del grande Lucio!
Dopo aver digerito, metabolizzato e interiorizzato tutto il Battisti-Mogol( a suo tempo) ora mi dedico allo studio dei meravigliosi "Bianchi", una miniera di emozioni e di gioia, una inesplorata ricchezza musicale e vocale (i testi non sempre all'altezza)
calypsos

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